Una tavola ben apparecchiata, il cibo ben disposto nei piatti, i profumi delle pietanze e delle spezie, un dolce appena sfornato, i colori vivaci di un frutto: sono tutte immagini positive, simbolo di piacere, serenità, unione, condivisione e benessere.
Molte persone sostengono che uno dei piaceri della vita sia proprio il mangiare bene. Eppure non per tutti è così, non per tutti il cibo è considerato fonte di benessere. Al contrario, il cibo può assumere significati differenti dall’offrire nutrimento all’individuo: può divenire uno strumento di autolesionismo, può essere una specie di ossessione infine ancora può trasformarsi un’oasi illusoria in cui rifugiarsi. Queste modalità disfrunzionali di relazionarsi con il cibo sono riconosciuti come Disturbi del comportamento alimentare (DCA) e danno origine ad una profonda sofferenza a chi ne è affetto.
Come ci ricorda Elena Riva (2022), nella storia dell’umanità, il corpo e il cibo rivestono da sempre un’importante valenza simbolica e comunicativa, su cui si fonda la possibilità di trasmettere valori, ideali, nuove mode e anche i malesseri esistenziali.
Fra gli anni ’60 e ’70 è stata l’espolosione dell’anoressia restrittiva a suscitare forte allarme; nei decenni successivi invece le forme disregolate si sono diffuse sino a superare quelle restrittive, come nella bulimia o nel binge-eating, sino alle sindromi alimentari contemporanee come l’ortoressia e la vigoressia.
Per vigoressia s’intende un’attenzione ossessiva alla forma fisica, perseguita attraverso un rigoroso allenamento ed un regime alimetare molto rigido, finalizzati a costruire un corpo perfetto, dalla muscolatura scolpita e dalle forme scultoree. Questo disturbo è maggiormente diffuso nella popolazione maschile. L’ortoressia consiste invece in una maniacale attenzione alla qualità sana e salutare degli alimenti che porta ad una continua selezione dei cibi e un ossessivo controllo della modalità di preparazione e assunzione dei pasti.
Molti pazienti che soffrono di un disturbo alimentare, non sono consapevoli della gravità della situazione e non danno il giusto peso al problema.
Il mangiare in modo sregolato e compulsivo, il seguire infinite diete alla ricerca di un ideale di bellezza, l’uso eccessivo di lassativi, il vomito auto-indotto, a volte, vengono considerati non come espressioni reali di un disturbo, ma come soluzioni ai propri problemi, come quello di placare la rabbia e l’ansia, oppure di riempire un vuoto.
Per questo motivo, molte persone, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, non chiedono aiuto e rifiutano qualsiasi tipo di approccio terapeutico. Diversi studi medico-scientifici hanno riscontrato che solo una minima parte delle persone, che soffrono di tali disturbi, riesce a chiedere un aiuto terapeutico volontariamente.
Spesso, l’isolamento ed il silenzio sembrano essere le uniche risposte per esprimere il proprio disagio interiore.
In questi casi, il contatto terapeutico permette di aprire un dialogo e di monitorare le eventuali complicanze, sia dal punto di vista medico che psicologico. Spesso si inizia con un ‘percorso motivazionale’, ossia un percorso psicologico che aiuta il paziente a scegliere la strada verso la propria guarigione e il proprio benessere.
La persona, attraverso l’aiuto della psicoterapia, può lavorare sui seguenti aspetti:
E’naturale che le figlie della “società dell’immagine” dedichino particolare attenzione a fare del proprio corpo lo specchio di ciò che sono, o forse di ciò che vorrebbero essere.
Basti pensare ai modelli pubblicitari e agli ideali di bellezza e perfezione che diffondono i Social Media, il Web e la TV, per capire da dove arriva questo profondo senso di insoddisfazione nei confronti del proprio corpo.
In una realtà così consumistica e disgregata, il corpo diventa semplicemente uno strumento plasmabile, simbolo di realizzazione e sicurezza di sé, senza che si colga la portata distruttiva del comportamento alimentare.
Tuttavia, nell’insorgenza di una problematica così seria, concorrono diversi fattori: biologici, psicologici, individuali, familiari, sociali e culturali.
Secondo le ultime statistiche, sembra che i DCA riguardino pazienti appartenenti a fasce d’età sempre più ampie, dall’infanzia fino all’età adulta.
I primi sintomi tendono a manifestarsi, maggiormente, in età adolescenziale, tra i 12 e i 18 anni.
Il disturbo colpisce più le adolescenti e le giovani donne, rispetto ai maschi, anche se, ultimamente, risultano esserci più casi di DCA nel mondo maschile.
I disturbi dello spettro alimentare rappresentano inoltre un disagio psicologico tipico della cultura occidentale, ciò che viene quindi definito come una culture-bound syndrome, ovvero un disagio culturalmente determinato. Si tratta di un insieme eterogeneo di disturbi cognitivi e comportamentali, cosiddette sindromi, diffuse generalmente in specifici contesti geografici.
Dipende dalla situazione…. Ovviamente se si tratta di una problematica in fase iniziale oppure che si manifesta in forma lieve, il trattamento indicato potrebbe essere quello della psicoterapia, abbinato al supporto di una dietologa oppure una nutrizionista specializzata nel trattamento dei DCA.
Se invece la problematica dovesse risultare più seria, solitamente il trattamento è di tipo multidisciplinare ed integrato. I disturbi dell’alimentazione sono, difatti, disturbi psichiatrici con importanti manifestazioni psicopatologiche ed un’alta frequenza di complicanze di tipo medico.
Quindi si potrebbe collaborare con il medico psichiatra, oppure con dei Centri specializzati nella cura dei DCA. Il più delle volte, i disturbi alimentari coesistono con altri disagi, come ad esempio la depressione, la dipendenza da sostanze, gli attacchi di panico, i disturbi d’ansia, ecc. È quindi necessaria una collaborazione tra più figure professionali, in grado di occuparsi in modo integrato e completo di diversi aspetti del problema.
Il tipo di trattamento, ritenuto più adatto alla persona, viene scelto insieme al terapeuta, dopo una approfondita valutazione diagnostica del caso.
Nel caso in cui si tratti di adolescenti o giovani, utile in molte situazioni può essere che siano i genitori ad iniziare un percorso di sostegno, così da trovare una chiave di possibile aggancio con il proprio figlio.
Non aspettare…
Dott.ssa Valentina Capuano
Psicologa Psicoterapeuta - Pavia (PV)
Dott.ssa Valentina Capuano Psicologa Psicoterapeuta
Pavia (PV)
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Laurea in Psicologia Clinica Università degli Studi di Pavia
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